Dino Buzzati
Ecco un altro consiglio di lettura, uno scrittore unico nel panorama della letteratura moderna italiana, Dino Buzzati.
Quello che ci presenta di Dino Buzzati è un mondo magico, misterioso, e il lettore si incuriosisce sempre più durante la lettura arrivando alla fine del racconto o del romanzo con il fiato sospeso.
In particolare nei racconti di Buzzati, che muovono per lo più da episodi tratti dalla quotidianità, improvvisamente l’atmosfera diviene surreale: in un attimo accade l’incredibile e dietro una narrazione spesso fiabesca si nascondono le importanti tematiche affrontate dall'autore: la vita, il viaggio, la ricerca di se stessi.
Dino Buzzati è nato a Belluno nel 1906 e si è laureato in giurisprudenza.
Quasi subito ha iniziato a lavorare per un noto giornale italiano, il Corriere della Sera.
Nel 1933 Buzzati ha pubblicato il suo primo romanzo, Barnabò delle montagne a cui sono seguiti vari libri tra cui il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari del 1940, e le celebri raccolte di racconti, come I sette messaggeri (1942) e Il Colombre (1966).
Accanto all'attività di scrittore e giornalista, si dedicava anche alla pittura illustrando i suoi racconti e tenendo con successo anche diverse mostre.
Buzzati è morto a Milano nel 1972, colpito da una malattia incurabile.
È difficile consigliare un solo libro di Buzzati: forse è meglio iniziare con un racconto (in calce ne proponiamo uno abbastanza breve e semplice) e arrivare poi alle atmosfere inquietanti dell’infinita attesa de Il deserto dei Tartari da cui nel 1976 è stato tratto anche un film, con la regia di Valerio Zurlini. Grande protagonista dell'opera è il destino, onnipotente e imperscrutabile, e alla fine beffardo.
Ma anche i racconti ci regalano un fascino incredibile. Con un tono narrativo da fiaba, Buzzati affrontava temi e sentimenti profondamente umani come l’angoscia, la paura della morte, ma anche il mistero, la magia, la ricerca dell'assoluto.
In uno dei più famosi, I sette messaggeri il protagonista decide di partire alla scoperta dell’estremo confine del suo regno. Egli si allontana dalla casa del padre e conduce con sé sette uomini il cui compito è quello di avvicendarsi nel tornare alla città di origine per raccogliere notizie e recapitarle a lui, ovunque egli si trovi (una metafora dell’uomo che si separa dalle sue origini, da ciò che è sicuro, per andare alla ricerca di se stesso). Ma l’impresa si dimostrerà senza speranza.
Ma esiste veramente questa normalità?
In questo, Buzzati ha una visione cupa e pessimista,come in queste parole tratte da Il deserto dei Tartari:
“Forse tutto è così, crediamo che attorno a noi ci siano creature simili a noi e invece c'è il gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l'amico, ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.”
Per iniziare a conoscere Dino Buzzati vi proponiamo un suo breve racconto pervaso da un forte senso di melanconia:
I giorni perduti
Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.
Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel dirupo che era colmo di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Si avvicinò all’uomo e gli chiese: – Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?
Quello lo guardò è sorrise: – Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.
–Che giorni?
–I giorni tuoi.
–I miei giorni?
–I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?
Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata, che se n’andava per sempre. E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo e c’era dentro una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.
Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk, il fedele mastino, che lo aspettava da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava dritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
–Signore! – gridò Kazirra. – Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. E l’ombra della notte scendeva.
Quali sentimenti suscita in te questo racconto?
Che cosa pensi abbia voluto rappresentare l’autore con l’immagine delle casse piene di “giorni perduti”?